Etichette – quinta parte: le etichette bio
Rimanendo in tema di prodotti alimentari, dal mercato in evoluzione e dall’interesse in costante crescita, parliamo di biologico. Questo titolo è per il consumatore sinonimo di tante qualità, non sempre giustificate da quello che il biologico rappresenta per legge: in realtà il suo conferimento è legato a precise regole e una severa normativa europea, e su queste basi vediamo cosa possiamo trovare in etichetta.
Biologico: da buono per l’ambiente a buono per la salute
Il biologico è una realtà produttiva e commerciale importante, non solo in Italia: a questo sistema produttivo si attribuiscono qualità superiori: non solo un maggior rispetto dell’ambiente e del benessere animale, ma anche per la salubrità dei prodotti stessi, qualità questa che il consumatore identifica nel divieto d’uso di pesticidi e nelle prescrizioni previste per un allevamento naturale degli animali.
L’Italia è tra i più importanti produttori europei di materia prima biologica, esportata in tutta Europa per il consumo fresco o per la sua trasformazione. La produzione e le successive fasi di lavorazione e distribuzione sono normati da un regolamento europeo, quindi le regole per produzione, etichettatura e controlli sono esattamente le stesse in tutto il territorio dell’Unione. L’attuale regolamento europeo in vigore, il n. 834 del 2007 (con il suo Regolamento applicativo, il n. 889 del 2008), sta per essere sostituito dalla sua revisione, il Reg. UE 2018/848 del 30 maggio 2018, che si applicherà dal primo gennaio 2021.
La norma si evolve ma le basi sono le stesse: per potersi chiamare biologico un alimento deve seguire precise regole, rispettose dell’ambiente, dal campo al confezionamento; regole che prevedono l’esclusione dell’uso di sostanze chimiche (salvo rari e selezionati casi eccezionali) e una filiera completamente segregata, quindi separata dai prodotti convenzionali. Sì, perché chi produce o vende biologico potrebbe parimenti anche produrre e vendere prodotto convenzionale e per evitare casuali rimescolamenti le due filiere devono essere separate. Anche per questo sono necessari i controlli svolti da enti terzi, gli organismi di controllo, che attribuiscono il marchio di biologico non solo al produttore, ma anche al singolo prodotto.
Infatti a ciascun operatore certificato biologico è attribuito:
- un numero di identificazione da riportare sempre sull’etichetta del prodotto messo in vendita;
- un codice identificativo dell’organismo di controllo che ha emesso la sua certificazione.
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Le prime due lettere sono la sigla identificativa del Paese in cui il prodotto è certificato (per l’Italia IT), segue la sigla BIO (o equivalente declinazione negli altri paesi europei) e poi un numero a tre cifre attribuito all’organismo di controllo dall’autorità competente (in Italia è il MIPAAFT, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e del Turismo)
Una volta prodotta, la materia prima biologica può essere messa in vendita tal quale, fresca o al massimo essiccata, ma sempre confezionata ed etichettata (salvo che il negozio non sia certificato) in modo da non essere confusa o miscelata a quella convenzionale.
L’etichetta riporterà:
- il logo europeo del biologico (la foglia verde con 12 stelle);
- l’indicazione biologico nella denominazione del prodotto;
- l’indicazione del numero di riconoscimento dell’operatore biologico grazie al quale, nella Banca Dati del Mipaaft, possono essere reperiti tutti i dati della certificazione bio dell’azienda;
- l’indicazione del relativo organismo di controllo, espresso da un codice alfa-numerico rintracciabile nel nostro elenco degli Odc Italia;
- l’indicazione del paese di origine delle materie prime agricole (Ue o Non Ue o nome del Paese).
Gli stessi prodotti della terra e dell’allevamento possono essere destinati a diventare ingrediente di una preparazione: così le uova, ad esempio, possono essere anche utilizzate per produrre biscotti, o una insalata russa, o la panatura di una fettina di pollo.
Bene; affinché il prodotto finito si possa fregiare del titolo di biologico la sua ricetta deve prevedere almeno il 95% di ingredienti di origine agricola certificati bio, al netto del contenuto di acqua e sale, che non sono considerati ingredienti di origine agricola e come tali sono esclusi dal conteggio. Attenzione, perché altri ingredienti (minerali, vitamine, additivi, ecc.) di origine non agricola possono essere utilizzati ma solo se esplicitamente autorizzati e inseriti negli allegati del regolamento applicativo.
E se il prodotto contiene ingredienti di origine agricola, semplici o composti (vedi, a proposito, l’articolo dedicato agli ingredienti), che non esistono in versione bio? Se l’ingrediente o la somma degli ingredienti è aggiunta nella ricetta in quantità inferiore al 5% del totale di origine agricola, e questo/questi sono inclusi nell’elenco delle eccezioni presente nel regolamento (CE) 889/2008, o sia stato autorizzato provvisoriamente, allora il prodotto si può ancora fregiare della qualifica di biologico.
In caso contrario l’alimento finito resta un prodotto convenzionale ma con ingredienti biologici: non riporterà più in etichetta il logo del biologico e non potrà chiamarsi biologico ma si potrà solo indicare quali ingredienti biologici contiene.
Anche i prodotti alimentari trasformati biologici possono essere venduti sfusi al consumatore finale: è il caso dei punti vendita certificati bio. Per poter mantenere la qualifica di bio il prodotto deve essere chiaramente identificato e separato da altri e riportare in evidenza le informazioni previste sull’identificazione dell’operatore biologico autorizzato e sul suo organismo di controllo. Al momento della consegna al cliente, il prodotto bio sfuso deve essere confezionato ed etichettato esattamente come quelli preconfezionati.
Il modo cautelativo con cui si tratta e si etichetta il biologico riguarda anche i riferimenti al produttore: è bene sapere infatti che non può essere riportato in etichetta alcun riferimento alla certificazione dell’azienda, se il prodotto stesso oggetto dell’etichettatura, non sia certificato. Esemplificando, un’azienda certificata che produce cereali biologici certificati, non potrà vendere come biologiche le uova delle proprie galline, anche se allevate nel rispetto dei criteri del biologico e alimentate con cibo bio, se non dopo uno specifico lavoro di controllo e validazione (in altre parole le uova devono essere inserite nel Certificato di conformità dell’azienda); né potrà pubblicizzare o semplicemente indicare in etichetta che quelle uova sono prodotte in una azienda certificata biologica.
Tutte queste regole sono impegnative da seguire: il mercato in espansione e il ritorno economico premiante spingono aziende a muoversi nella direzione del biologico, ma poi si scoraggiano e arretrano, mentre potrebbero risolvere dubbi e difficoltà iniziali, con l’esperienza e magari facendosi aiutare e supportare all’inizio del percorso. Le regole in effetti sono importanti per poter fare un distinguo. Rappresentano infatti l’unico strumento davvero efficace per liberare il mercato dagli opportunisti e dai millantatori, giustificare un sovrapprezzo e mantenere la fiducia che il consumatore, disorientato dall’ampia scelta convenzionale e da notizie a volte poco edificanti sul bio, deve continuare ad accordare a quest’ultimo.
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