di Alberto Bergamaschi – Alberto Bergamaschi/Facebook
Responsabilità, rispetto, confronto.
“L’esercizio della professione, quale espressione del principio della libertà di iniziativa economica, è tutelato in tutte le sue forme e applicazioni, purché non contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. Le Regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino l’esercizio della professione”.
Queste parole appartengono all’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 30 del 2 febbraio 2006, che indica i principi fondamentali in materia di professioni. Parole che garantiscono le attività, impedendo qualsiasi discriminazione, anche se le subordina al rispetto generico di un “buon costume” che mi lascia molto perplesso, per la sua vaghezza.
Forse è un retaggio di una vecchia metodologia legislativa, dove l’etica che veniva richiamata ad esempio era, purtroppo, il pericolosissimo senso comune a discapito del buon senso di manzoniana memoria, quando parla della peste di Milano; oppure l’altrettanto indefinita e molto rischiosa diligenza del buon padre di famiglia. Fortunatamente, ma con lo scatto di un motore diesel navale, tutte queste definizioni si aggiornano in modo automatico con il passare del tempo, seguendo le spinte dal basso.
Verso la crescita etica del consulente
Un altro punto di questo Decreto Legislativo che ritengo essere particolarmente interessante è l’articolo 5 (Regolazione delle attività professionali) che riporta testualmente:
L’esercizio delle attività professionali si svolge nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, della tutela degli interessi pubblici, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, dell’autonomia e responsabilità del professionista.
In poche parole, il professionista ha la libertà, per non dire il consiglio molto pressante, di esercitare la propria attività all’interno di una cornice creata, in estrema sintesi, dalla buona fede, dalla correttezza e dalla tutela degli interessi pubblici.
Queste affermazioni non sono banali, ma indicano in modo evidente quanto l’interesse del singolo sia strettamente legato, e ne debba assolutamente tenere conto, a quello della società. Forse non ancora in posizione subordinata, ma di sicuro, quanto meno, affiancata. È l’inizio di una fase evolutiva con una direzione ben precisa, dal centro alla periferia, come in ogni normale attività centrifuga. Dal singolo verso la società, come ci viene richiesto in modo assillante anche dalla Unione Europea.
Questo concetto si accompagna, in modo evidente, a quanto da me ascoltato in un recente webinar a cui ho partecipato, durante il quale è stato detto, in modo molto chiaro, che la PAC agricola non è un sostegno al reddito dell’impresa, ma una remunerazione per chi cerca di mantenere il più possibile inalterato il bene comune.
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L’etica applicata alla consulenza, ovvero insieme al cliente in modo responsabile e rispettoso
Il bene comune, in questo caso, è anche l’operare in sintonia tra l’azienda e del consulente, in modo corretto, responsabile, rispettoso degli interessi pubblici e con tutte quelle caratteristiche che portino la società verso una crescita etica. È una svolta che fa cambiare l’attività consulenziale, facendola passare da uno schematico:
indicazione dell’obiettivo – consulenza – verifica del raggiungimento del risultato – pagamento
in una operatività filosoficamente molto differente. La quale può essere sintetizzata con:
indicazione dell’obiettivo – verifica che lo stesso sia compatibile con gli obiettivi sociali – consulenza conforme agli impegni etici del professionista – dimostrazione del raggiungimento dei risultati e pagamento.
Il cambiamento di atteggiamento è notevole, ma come fare in pratica?
Come prima cosa è necessaria una discussione approfondita tra i consulenti interessati a questo cambiamento. Prendere la decisione di definire quali sono gli obiettivi sociali imprescindibili e traversali, cosa si intende come eticità dell’attività aziendale e della consulenza, come conformare la propria professione sui binari della responsabilità, del rispetto e del confronto.
In seguito, inoltre, bisogna sforzarsi di mettere per iscritto tutte le risoluzioni ottenute, creando una sorta di disciplinare che possa governare e fungere da verifica oggettiva del rispetto di quanto deciso.
Solo in questo modo si creeranno le basi di una valutazione oggettiva del comportamento conforme alle aspettative dei consulenti e della stessa azienda, in modo tale da potere fare partire un progetto associativo che riesca a riunire tutte le realtà che hanno la convinzione che l’appoggiare un modo nuovo di operare sia adeguato all’obiettivo originario, diventato imprescindibile in questi ultimi anni: togliere il teleobiettivo dalla reflex della nostra attività e inserire il grandangolare, per cambiare, allargando l’orizzonte, il nostro punto di vista.
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