Negli ultimi anni è in corso un dibattito dal respiro ampio dedicato al concetto di agricoltura pulita tesa al rispetto delle persone, degli agricoltori e delle comunità rurali in generale. Fortunatamente, molti si attivano per affrontare le conseguenze di quella rivoluzione verde che tendeva, sì, all’aumento della produzione, ma con conseguenze pesanti sul versante etico e ambientale.
Nel 2015 Greenpeace International ha stilato un rapporto dal titolo Agricoltura sostenibile: sette principi per un nuovo modello che metta al centro le persone contenente 7 principi dell’agricoltura sostenibile che si fondano sulle più recenti innovazioni scientifiche con cui è possibile produrre alimenti sani, lavorando con la natura e non contro di essa.
Principi a cui si è ispirato anche John Ikerd, professore emerito di Agricultural & Applied Economics all’Università del Missouri (Usa), paladino lucido e diretto di questi aspetti da oltre 30 anni. Autore (ha scritto, tra gli altri, The Essentials of Economic Sustainability – 2012, Crisis and Opportunity -2008, Small Farms are Real Farms – 2007 e Sustainable Capitalism – 2005) e relatore di spessore (ha partecipato all’ultima edizione di Terra Madre) ha adottato i fondamenti di Agroecology che si basa sull’applicazione di concetti e pensieri ecologici per ottimizzare le interazioni tra piante, animali, uomo e ambiente, tenendo conto degli aspetti sociali che devono essere affrontati per un sistema alimentare sostenibile ed equo.
Infatti, in un contesto di sovrappopolazione e di grande sfruttamento delle risorse naturali, compresi il suolo e l’acqua, la perdita di biodiversità e le incertezze associate ai cambiamenti climatici, le odierne sfide (tra cui i cambiamenti climatici) richiedono un nuovo approccio verso sistemi di nutrizione più sostenibili che producono di più nelle stesse aree dove saranno consumati. Un settore agricolo rigenerativo e produttivo può fornire benefici e servizi ambientali mentre crea occupazione rurale e rinforza i mezzi di sostentamento.
In una recente intervista rilasciata a Slow Food, Ikerd ha espresso i limiti dell’industrializzazione agricola sviluppatasi in questo ultimo secolo con il fine di nutrire il mondo.
Con l’industrializzazione dell’agricoltura abbiamo cercato di renderci indipendenti dalla natura in termini di produttività dei suoli, delle piante, degli animali… abbiamo pensato, se siamo abbastanza intelligenti e innovativi, allora possiamo sfuggire alle regole della natura. L’agroecologia, invece, si basa sul concetto che siamo parte della Terra e che dobbiamo trovare un sistema per alimentarci operando in armonia con la natura. E quindi penso che il vostro Food for Change rappresenti il bivio di fronte al quale ci troviamo. Possiamo scegliere di implementare le tecnologie con l’obiettivo di essere sempre più indipendenti dalla natura, oppure possiamo scegliere la via del rispetto della Terra e imparare come vivere in armonia con le risorse che ci mette a disposizione
Anche la FAO ne ha abbracciato i principi e ha sviluppato una piattaforma web (Agroecology Knowledge Hub) per evidenziare e condividere uno scambio partecipativo di esperienze e conoscenze tra territori, Paesi e regioni, coinvolgendo la società civile, gli agricoltori, i governi, le università e i ricercatori. L’obiettivo è quello di fornire gli aggiornamenti attorno a diversi elementi salienti: efficienza, equilibrio, diversità, condivisione di conoscenze, riciclo, sinergie, valori umani e sociali, economia circolare, tradizioni culturali e alimentari, governance della terra e delle risorse naturali. Un vero e proprio database che raccoglie articoli, video, case study, libri condivisibile e che viene costantemente aggiornato.
Lo studio dei 10 elementi dell’Agroecologia ci porta a riflettere su molti degli aspetti che vanno affrontati al più presto per mantenere quell’equilibrio che possa permettere la sopravvivenza delle specie.
Lo sfruttamento eccessivo delle risorse compromette dunque la fertilità del suolo, la biodiversità e la qualità delle acque. L’attuale sistema agricolo è invasivo e prevalentemente legato alluso massiccio di sostanze chimiche e di combustibili fossili ed è concentrato in poche aree del mondo, prevalentemente nei Paesi più ricchi e industrializzati.
Alcuni studi stimano che quasi il 40% dei terreni coltivati intensivamente andrà perso entro il 2050.
Al contrario, i suoli bio tendono a conservare le proprietà biologiche, fisiche e chimiche nel corso del tempo, mantenendo la produttività e garantendo di conseguenza la sicurezza alimentare a lungo termine. Esiste quindi uno spreco occulto e silenzioso per il quale si perdono ogni anno tra il 24 e i 30 miliardi di tonnellate di terreni fertili specie nei paesi più poveri (dato del Rapporto dell’Ufficio scienza e tecnologia del Parlamento inglese del 2015), ma il fenomeno non è circoscritto ai paesi in via di sviluppo. Anche in Europa, che la giovane età geologica dovrebbe mettere al riparo da questi rischi, si registrano segnali di impoverimento dei terreni.
La scorsa estate ENEA (che ha al suo interno una Divisione di Biotecnologie e agroindustria) ha firmato un accordo con la FAO, insieme a CNR, CREA e ISPRA, che prevede un ampio programma di cooperazione rivolto ai Paesi in via di sviluppo nei settori dell’innovazione agricola, lotta al cambiamento climatico, sviluppo di nuove tecnologie per la qualità del cibo e la nutrizione, gestione dei suoli e dell’acqua e qualità degli ecosistemi.
La ricerca e l’innovazione saranno dunque lo strumento necessario in Italia e nel resto del pianeta per adottare politiche e metodologie che riescano ad arginare pratiche nocive e il crescente impoverimento del suolo. Un ulteriore studio Enea ha evidenziato come l’agricoltura biologica produca effetti positivi sulla salute umana, sul benessere degli animali allevati e sull’ambiente, ma allo stesso tempo sottolinea che la produzione delle colture bio è, mediamente, il 20% in meno della produzione delle colture convenzionali, passando da uno scarto tra il raccolto di frutta bio e convenzionale del 3% per la frutta e del 34% per la verdura.
La domanda spontanea che nasce è se tale agricoltura potrà essere in grado di produrre cibo a sufficienza per sfamare il mondo e garantire la sicurezza alimentare. Per l’agricoltura biologica la sfida più importante sarà quella di migliorare la produttività per unità di superficie coltivata, mantenendo un elevato standard qualitativo ed un basso impatto sull’ambiente. Si evince quindi l’esigenza fondamentale di condurre altri studi mirati ad approfondire le potenzialità dell’agricoltura biologica per la produzione di alimenti ad elevato standard qualitativo e nutrizionale, puntando a migliorare l’efficienza produttiva anche nel caso di superfici coltivate ridotte.
Secondo la definizione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (nel lontano 1996)
la sicurezza alimentare è raggiunta quando la popolazione ha accesso a cibo non solo sufficiente, ma anche sano e nutriente (… all people, at all times, have physical and economic access to sufficient, safe and nutritious food to meet their dietary needs and food preferences for an active and healthy life)
E più recentemente durante il Meeting COAG (Committee on agriculture) che si è svolto dal 1 al 5 ottobre 2018, organizzato dalla Commissione Agricoltura della FAO, il Direttore generale Graziano da Silva ha ribadito ai presenti (ministri, rappresentanti di governi, del settore privato e della società civile) l’urgenza e la necessità di trasformare l’agricoltura attuale che nel tempo ha condotto alla deforestazione, alla scarsità d’acqua, all’impoverimento del suolo e ad alti livelli di emissioni di gas serra.
Ed è proprio mediante l’innovazione che potrà essere possibile:
- fornire cibo sano e nutriente attraverso la riduzione di uso di pesticidi e di prodotti chimici;
- aumento della diversificazione delle colture;
- miglioramento delle tecniche di conservazione;
- mantenimento dell’ambiente e della biodiversità.
Già nel 2015 FAO aveva espresso questo monito pubblicando un documento in occasione dell’anno internazionale del suolo dal titolo Il suolo è una risorsa non rinnovabile la sua conservazione è fondamentale per la sicurezza alimentare e il nostro futuro sostenibile per fermare il degrado del territorio nelle sue varie forme e creare reti per sistemi di gestione sostenibile dei suoli, raccomandava una serie di azioni che vanno dal mantenimento dei terreni sani alla protezione e bonifica degli appezzamenti attraverso investimenti mirati, dall’aumento dei controlli per limitare l’accumulo di contaminanti oltre le soglie prestabilite per la salute umana fino all’incentivazione verso metodiche e pratiche sostenibili dei terreni agricoli.
E’ auspicabile l’avvio dello sviluppo di metodologie che accelerino la produzione biologica per far fronte alle esigenze di crescita della popolazione.
Nel 2050 ci saranno quasi 10 miliardi di persone il cui fabbisogno alimentare presuppone, rispetto ai livelli del 2012, il raddoppio della produzione agricola. Perciò occorrerà, oltre all’impegno dei Governi e delle entità sovranazionali, anche un apporto da parte dei singoli con scelte più consapevoli, ad esempio verso cibi sani e controllati, e anche degli operatori agricoli perché producano in modo più ecocompatibile.