Blockchain, la trust machine della tracciabilità del food/terza parte

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Blockchain, la trust machine della tracciabilità del food/terza parte

di Sandra Santoro

Blockchain, la trust machine della tracciabilità del food/terza parte

Concludiamo questa serie di tre articoli sulla Blockchain, un colpo d’occhio sulle sue applicazioni e utilità per la tracciabilità del food, evidenziando anche i punti più critici di questa tecnologia che seguiterà ad evolvere per garantire sicurezza alimentare e plus legati a pratiche virtuose di produzione, lavorazione e distribuzione.

Andando a ritroso fino alla produzione del cibo, sono tanti i campi di applicazione della Blockchain in agricoltura: gli agricoltori possono avere dei vantaggi assicurativi in caso di danni climatici; le proprietà possono essere tutelate in seguito alla registrazione dei terreni; la tracciabilità della provenienza dei prodotti può contrastare il commercio illegale, oltre a monitorare, verificare e riferire sulla sostenibilità ambientale di certi progetti.

La Blockchian porta maggiore trasparenza nelle filiere agricole: il percorso “sotto i riflettori” è in grado dunque di controllare la coltivazione, il trattamento, la raccolta delle materie prime, il trasporto, lo stoccaggio, il controllo di qualità e infine la distribuzione del prodotto finito. E tutti i dettagli sono tracciati e resi disponibili su un sistema di Blockchain che il cliente può verificare scansionando il codice QR applicato sul prodotto, oppure rilevando attraverso codici a barre o Tag RFID una serie di informazioni.

Blockchain = fiducia ma anche criticità

The Economist in un articolo ha definito la Blockchain the trust machine cioè la macchina della fiducia, per evidenziare che, all’interno di un’architettura distribuita e decentralizzata, tutti possono verificare le informazioni e nessuno da solo detiene il potere del controllo e che quindi ci si può fidare di più (rif.: RuralHack/Blockchain per l’agrifood. Scenari, applicazioni, impatti).

E il nodo della fiducia sovrasta anche una serie di limiti che questa tecnologia, al momento, ha. Per garantire la propria affidabilità deve, da un lato, essere sostenuta dalle Governance attraverso normative specifiche (un primissimo passo è nel DL sulla semplificazione dell’11/02/2019, n. 12) e, dall’altro, superare la diffidenza generale, soprattutto nel comparto agroalimentare.
In un sondaggio di PWC – Global gli intervistati (appartenenti a vari settori produttivi, ma tutti alle prese con l’implementazione di sistemi di Blockchain) hanno risposto che il più grande ostacolo all’adozione di questa tecnologia è l’incertezza normativa (48%), la mancanza di fiducia tra gli utenti (45%) e la capacità di riunire la rete (44%).

 

Blockchain chain of trust

Per il settore agroalimentare questi dubbi si sommano alla diffidenza tecnologica e alla mancata alfabetizzazione digitale, anche se negli ultimi anni si sta diffondendo una cultura più vicina al periodo storico, altamente informatizzato, che possa facilitare l’attività degli agricoltori nel rispetto anche della sostenibilità ambientale e vicina al metodo biologico.

Verso nuove etichette alimentari: un Dna che racconta le storie di produzione del food

Di recente una italiana è stata nominata tra le vincitrici del premio dell’Unione Europea per le Donne Innovatrici, finanziato nell’ambito del programma quadro per la ricerca Ue Horizons 2020: la ricercatrice Michela Puddu segnala che la stessa tecnologia Blockchain al momento presenta delle falle soprattutto in termini di possibili frodi e cerca di superare il problema con una sua particolare idea innovativa: etichette fatte di Dna (adattabili a qualsiasi settore della produzione, dal tessile all’agroalimentare) che diano la possibilità di tracciare i prodotti per sapere, ad esempio, se il cotone di una t-shirt è davvero biologico o se l’olio d’oliva è realmente made in Italy.

Si tratta dunque di vere

sequenze di Dna che non hanno un significato biologico, ma che rappresentano un produttore o una casa manifatturiera – spiega Michela Puddu – e una volta rese stabili e incapsulate in particelle sferiche che proteggono il Dna da alterazioni, le etichette al Dna sono completamente trasparenti e vengono nebulizzate sul prodotto in qualsiasi fase della produzione, dalla raccolta della materia prima al manufatto: in questo modo è possibile ricostruirne tutta la storia e determinare l’autenticità.

Allo studio dunque vi sono molte possibilità per cercare di rendere le produzioni il più possibile riconducibili a metodiche sane, sostenibili ed eticamente responsabili: fioriscono anche per l’agroalimentare corsi di formazione su questi temi. L’ultimo si è tenuto nel capoluogo emiliano organizzato dell’Università bolognese e Bologna Food School in cui si è parlato di Blockchain partendo da una introduzione tecnica su come è strutturata fino ad arrivare al caso d’uso from farm to fork.

Potrebbe interessarti anche il primo articolo Blockchain e food: tecnologia al servizio di made in Italy e biologico/prima parte
Potrebbe interessarti anche il secondo articolBlockchain e food: tutela e sicurezza per il consumatore/seconda parte

Credits: Flaticons.com + Freepick.com

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