Etichette – ottava parte: responsabilità del produttore e non solo
Abbiamo lungamente parlato di quali informazioni devono essere presenti in etichetta, di come inserirle e persino di cosa evitare di scrivere. A questo punto una domanda può sorgere spontanea: chi decide “cosa e come” e, soprattutto, di chi è la responsabilità di questa scelta? E su che basi validare quanto riportato in etichetta? Queste le domande cui vogliamo rispondere in questo articolo.
Nei passati articoli sull’etichettatura dei prodotti alimentari abbiamo detto che il Regolamento 1169/2011 (attuale faro degli operatori del settore alimentare per quanto riguarda l’informazione al consumatore) chiarisce e rende cogenti alcune indicazioni, prima un po’ sottaciute: la dichiarazione nutrizionale obbligatoria, l’esplicitazione dei diversi tipi di olii o grassi utilizzati nella ricetta, così come l’evidenza grafica da dare alla presenza di allergeni tra gli ingredienti, sono tra gli elementi di novità introdotti nell’interesse diretto del consumatore.
Dalla parte del consumatore: chi è responsabile delle informazioni in etichetta?
C’è, però, un altro punto che per gli operatori del settore è stato un passo importante per la trasparenza ed è quello relativo all’attribuzione delle responsabilità sui contenuti informativi del prodotto. Attenzione: non stiamo parlando di sicurezza o di igiene, ma proprio di esattezza e di completezza delle informazioni: stiamo parlando di responsabilità.
La normativa di riferimento precedente (in Italia il Decreto lgs. 109/1992, oltre che la Dir. 2000/13 CE) non indicava in modo così esplicito e circostanziato chi dovesse farsi carico delle informazioni presenti in etichetta.
Ora invece è chiaro che la completezza e la veridicità delle informazioni sono a carico di chi si prende la responsabilità del prodotto e che pone il proprio nome e indirizzo sulla confezione: così, andando a vedere più nello specifico, va da sé che:
- chi produce, confeziona e vende un prodotto a proprio marchio sia responsabile del prodotto in toto;
- stessa responsabilità ricade su chi importa e distribuisce nell’Unione Europea il prodotto proveniente da una nazione extra europea;
- le cose non cambiano anche per chi vende con il proprio marchio un prodotto commissionato, prodotto e confezionato da terzi, quindi chi appone il logo/nome si fa carico di concordare, verificare e validare le informazioni presenti in etichetta, oltre che delle caratteristiche igieniche e di qualità del prodotto.
E’, quest’ultimo, il caso della grande catena distributiva (ad esempio Coop, Esselunga, Lidl, ecc..) che vende prodotti con il proprio marchio ma li fa produrre da altri, ogni prodotto da un produttore specializzato; oppure è il caso di un produttore che differenzia l’offerta presentando un assortimento frutto di produzione propria ma anche di produzioni conto terzi.
Tutti sono responsabili, non solo chi produce!
Ma la responsabilità non è solo a livello di produzione.
Un passo importante del regolamento riguarda le responsabilità post produzione di chi vende e/o somministra: a questi infatti viene attribuito, per sua parte, il compito di assicurazione e verifica della conformità delle informazioni attribuite ai prodotti che, appunto, vende o somministra.
Questo significa che chi vende il prodotto confezionato da altri e con marchio di altri, deve comunque farsi carico di una verifica delle informazioni riportate: un caso piuttosto frequente e che coinvolge non solo le rivendite classiche (negozi, supermercati) ma anche quelle online. Spesso considerate “solo” una piattaforma di e-commerce con relativa vetrina espositiva, in realtà questi siti fungono da portatori d’informazione e come tali devono verificare che i prodotti in vendita attraverso le loro pagine online siano conformi, pena la condivisione della responsabilità di dare un’informazione carente o non veritiera e, quindi, eventuali destinatari di sanzione.
Altro caso frequente è quello di produttori che, con piccole attività di trasformazione, affiancano la propria produzione agricola o d’allevamento: spesso hanno un proprio spaccio in cui vendono i prodotti frutto della loro attività, ma occasionalmente ospitano e vendono anche prodotti dei loro vicini. Pensiamo solo ai cesti di Natale di un produttore di salumi e cotechini che necessariamente vengono composti prendendo anche specialità (lenticchie, bottiglie di vino, ecc…) provenienti da produzioni extra aziendali.
Quindi, attenzione a cosa vi mettete in casa! Potrebbe essere merce buona ma “pericolosa”…
E un altro punto deve essere chiaro: chi vende non può cambiare il contenuto dell’etichetta apposta da chi ha confezionato. Se lo fa, non deve in nessun modo suscitare aspettative o fraintendimenti con i consumatori e sarà direttamente responsabile di quanto ha scritto o modificato.
Leggi anche: Etichette – settima parte: gli allergeni

credirs: Freepik
Veridicità delle informazioni in etichetta significa essere responsabili nei confronti del consumatore
Adesso che è chiaro chi si fa carico della responsabilità, vale la pena di entrare nel merito di qualche questione: quando si parla di veridicità delle informazioni fornite, di cosa si parla in particolare? E su che basi il responsabile può garantirne la veridicità?
Se una delle dichiarazioni più semplici da validare è la lista degli ingredienti, che si basa sulla ricetta, la dichiarazione nutrizionale e annesse proprietà salutistiche e nutrizionali richiedono già qualche sistema di controllo sul campo e qualche elaborazione e verifica in più: meglio non improvvisare perché scrivere “ricco di fibra” o “prodotto light” richiede valutazioni tutt’altro che banali.
Anche il peso deve essere dichiarato con “responsabilità”: non ha senso la scritta prodotto soggetto a calo di peso, perché il peso che promettete in etichetta deve essere garantito, entro preciso range di tolleranza e se anche il prodotto è soggetto davvero a variazioni di peso, specificarlo non rende esenti da doveri e da eventuali sanzioni.
E la modalità con cui il peso è scritto (con la “e” o senza la “e” a fianco? Peso, o peso netto?) rappresenta una dichiarazione precisa sulla modalità con cui il peso è stabilito e quindi l’entità di eventuali tolleranze. Anche questa rappresenta una scelta tecnologica e di responsabilità per chi confeziona.
C’è poi la cosiddetta data di scadenza o, meglio, la dichiarazione di durata del prodotto: salvo che per qualche prodotto regolamentato per legge, questa è stabilita dal responsabile del prodotto. Molto spesso le grandi aziende si avvalgono di indicazioni che l’associazione produttori del loro settore ha suggerito, indicazioni non necessariamente adeguate per un prodotto artigianale. A questo punto la cosa giusta da fare per un prodotto nuovo, o per produzioni artigianali, è supportare la data messa in etichetta con i risultati di analisi di laboratorio: il tutto ovviamente ha un costo e richiede anche una certa competenza tecnica e quindi questa verifica, che sosterrebbe la dichiarazione di durabilità in etichetta, non viene quasi mai fatta.
E infine ecco le certificazioni di origine (come le DOP) o di prodotto/sistema (come il biologico) che vengono vissute come certificazioni di qualità, verificate e validate anche col supporto di enti esterni certificatori.
Attenzione: sebbene non obbligatorio, di prassi la maggior parte degli Organismi di controllo prevede di rilasciare una preventiva validazione delle etichette. Quello che spesso non è chiaro, tuttavia, è che l’approvazione data dall’Organismo di controllo vale solo per le informazioni relative al biologico.
Insomma, se il vostro certificatore vi dà l’ok per l’etichetta di un prodotto biologico non vuol dire che tutta l’etichetta vada bene, ma solo che le informazioni relative al biologico sono scritte e stese correttamente. La responsabilità quindi rimane in mano vostra!
Meditate, gente, meditate…
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